F.A.Q.
F.A.Q
Domande Frequenti
In collaborazione con il GIRC
Il tumore dello stomaco è un tumore maligno (carcinoma o, ancor meglio, adenocarcinoma), che origina dalla sua parete, specificatamente dalla mucosa, lo strato che ne riveste la superficie interna, quella a contatto con il cibo. Può essere localizzato in diverse parti dello stomaco (delimitato in alto dal cardias, la valvola che separa lo stomaco dall’esofago, e in basso dal piloro, quella che lo separa da primo tratto di intestino o duodeno), ma più frequentemente nella sua porzione più distale (chiamata antro pilorico).
I sintomi non sono specifici e sono pressoché sovrapponibili a quelli di gastrite e ulcera, come
cattiva digestione, pirosi (bruciore allo stomaco), senso di ripienezza precoce o inappetenza, dolore, eruttazioni, nausea e vomito. Talora, soprattutto per le localizzazioni più alte, possono associarsi disfagia (difficoltà alla deglutizione) e, raramente, singhiozzo.
Altri sintomi, o meglio, segni indiretti della presenza di un tumore dello stomaco possono essere la progressiva perdita di peso e l’anemia (carenza di emoglobina e globuli rossi). Il dimagrimento spesso è rilevante e, soprattutto, non motivato da alcuna dieta volontaria: esso è il risultato tanto delle risorse energetiche “rubate” dalle cellule tumorali alle cellule sane, quanto dalla ridotta assunzione di cibi legata ai disturbi sopra descritti. L’anemia, invece, può essere asintomatica e riscontrata occasionalmente agli esami del sangue (emocromo) oppure può dare segno della sua presenza con eccessiva stanchezza, improvvisi comparsa o peggioramento di problemi cardiaci e respiratori, eventualmente con evacuazione di feci scure (melena) o, addirittura, emissione di sangue con il vomito (ematemesi).
L’esame per eccellenza per individuare un tumore gastrico è l’endoscopia del primo tratto digestivo (esofagogastroduodenoscopia, EGDS), che permette di vedere direttamente lesioni macroscopiche (ulcere, polipi) e, nel caso, di eseguirne biopsie, ovvero piccoli prelievi di tessuto gastrico su cui viene effettuato un esame microscopico (istologico) per valutare la presenza di cellule maligne.
Un esame indiretto, quindi aspecifico, che il Medico Curante può consigliare nel sospetto di un problema allo stomaco è la ricerca del sangue occulto fecale, ovvero la ricerca di prodotti di degradazione dell’emoglobina che, fisiologicamente, non è presente nelle feci. La positività a questo esame imporrà l’esecuzione di un approfondimento endoscopico (sulla base dei dati di incidenza, in prima istanza, del colon, poi dello stomaco).
Il tumore dello stomaco è una malattia ad origine multifattoriale, ovvero più fattori concorrono a provocare nelle cellule gastriche quelle modificazioni che porteranno poi allo sviluppo di una vera e propria neoplasia.
Uno dei principali fattori di rischio è l’infezione gastrica da parte di un batterio chiamato
Helicobacter Pylori, che provoca una gastrite atrofica che, a sua volta, favorisce l’alterazione
cellulare che determina il processo di cancerizzazione. La diagnosi può essere effettuata sia con l’EGDS che con metodi indiretti quale il “breath test” (test del respiro) e la sua eradicazione mediante una combinazione di antibiotici e antiacidi è sempre raccomandata.
Altri fattori di rischio sono legati alla dieta, ovvero all’assunzione di cibi pronti, che contengono
grandi quantità di nitriti (derivati del sale), cibi affumicati o mal conservati. Inoltre, l’abitudine al
fumo di tabacco e il consumo di eccessive quantità di alcool e carni rosse sembrano giocare un ruolo non secondario.
Dopo la diagnosi ottenuta mediante esame istologico sui prelievi bioptici eseguiti durante l’EGDS, la stadiazione del tumore dello stomaco richiede sempre la TC torace-addome con mezzo di contrasto iodato e con adeguata distensione gastrica. Ulteriori esami di stadiazione sono l’ecoendoscopia, utile soprattutto per studiare lo scompaginamento degli strati della parete gastrica in presenza di un tumore iniziale, e la PET-TC, una metodica scintigrafica capace, soprattutto nei casi avanzati di malattia, di caratterizzare come neoplastiche o meno lesioni nodulari aspecifiche individuate alla TC. In fase pretrattamento è importante, inoltre, il dosaggio ematico dei marcatori oncologici per monitorare nel tempo l’iter della malattia.
Quando il tumore è in stadio avanzato, sia localmente che a distanza, l’approccio chirurgico non è mai il primo trattamento. Tuttavia, mentre la malattia localmente avanzata, se tecnicamente resecabile, dopo chemioterapia richiede sempre la gastrectomia (con ampia asportazione del tessuto linfonodale vicino, i.e. linfadenectomia), il tumore che presenta metastasi a distanza spesso non trae beneficio dall’atto chirurgico. Due sostanzialmente le eccezioni: il tumore metastatico fortemente sintomatico per la presenza di ostruzione dello stomaco (con vomito non altrimenti risolvibile) o per sanguinamento (con la relativa anemia) o il tumore metastatico che ha risposto così efficacemente alla chemioterapia “palliativa” da poter essere asportato radicalmente. Si precisa, comunque, che nel primo caso la chirurgia mira ad un miglioramento della qualità di vita, mentre nel secondo l’obiettivo torna ad essere la guarigione.
La scelta di quanto stomaco asportare è determinata dalla posizione e dalla grandezza del tumore. In termini di qualità di vita, gli esiti di una gastrectomia parziale (asportazione della parte distale dello stomaco) sono sicuramente più tollerati in vista della ripresa dell’alimentazione. Ciò, tuttavia, non deve andare ovviamente a discapito di una radicalità oncologica, determinante ai fini della guarigione, e che richiede sempre un margine di sezione chirurgica sufficientemente lontano dalla malattia.
L’approccio chirurgico da sempre validato per il trattamento del tumore dello stomaco è quello
laparotomico o “open” (con taglio mediano o sottocostale). Dagli anni ’90 la chirurgia
laparoscopica ha mosso i primi passi anche per la cura delle neoplasie gastriche. L’approccio
mini-invasivo, a fronte di una maggior durata della procedura e di costi maggiori per il sistema
sanitario, garantisce una più rapida ripresa post-operatoria rispetto a quello “open”.
Le attuali evidenze scientifiche hanno dimostrato la sicurezza della gastrectomia parziale
laparoscopica (con adeguata linfadenectomia) sia in termini di complicanze post-operatorie che di risultati oncologici a distanza.
Sono, invece, ancora in fase di validazione sia la gastrectomia totale laparoscopica che la chirurgia robotica.
La dumping syndrome , o sindrome da svuotamento rapido, definisce quel corteo sintomatologico dell’improvviso malessere riferito dal paziente sottoposto a gastrectomia dopo il pasto. Essa si verifica poiché, per la ricostruzione intestinale subita, il cibo raggiunge troppo velocemente l’intestino e con il suo carico di zucchero richiama liquidi dal circolo all’interno dell’intestino stesso, lo dilata e provoca una reazione nervosa vagale ed ipoglicemia da eccessivi livelli di insulina ematica. Quindi, la sindrome si manifesta con nausea, vomito, diarrea e crampi addominali, nei primi 30-60 minuti che seguono l’ingestione di cibo; sudorazione, aumento dell’appetito, debolezza, fatica e senso di svenimento, dopo 1-3 ore dalla conclusione del pasto. Per chi ne è affetto, il consiglio è quello di evitare pasti zuccherini e di distribuire il carico di zuccheri (secondo il fabbisogno) nell’arco delle 24 ore.
Dopo il regolare controllo chirurgico post-operatorio, che spesso si conclude ad un mese
dall’intervento al fine di individuare eventuali anemia o difficoltà con la ripresa dell’alimentazione, ad esame istologico acquisito, il paziente viene contattato per la comunicazione della decisione collegiale determinata alla rivalutazione del team multidisciplinare. Al termine del trattamento definito, sia esso chirurgico che oncologico, il paziente entra in un regolare schema di controlli periodici con esami del sangue (emocromo e marcatori oncologici soprattutto), radiologici (TC torace-addome) ed endoscopici (EGDS) per i 5 anni dopo l’intervento. In caso di assenza di segni di recidiva di malattia, il follow-up avverrà a cadenze regolari (3-6-12 mesi), più ravvicinati nei primi 2 anni dall’intervento. Ovviamente, nel sospetto di recidiva i tempi tra i vari controlli si fanno più stretti.
Una volta terminati i 5 anni di follow-up, il paziente verrà affidato al Medico Curante, con consigli su quali esami effettuare e ogni quanto effettuarne in base allo stadio di malattia iniziale.
La prevenzione del tumore dello stomaco è possibile, innanzitutto, evitando i fattori di rischio sopra descritti. Ma, come detto, essendo l’origine multifattoriale, non sempre uno stile di vita sano mette al riparo dalla sua possibile insorgenza. Infatti, prima ancora che quello della prevenzione, per il tumore dello stomaco è più importante stressare il concetto della diagnosi precoce (nella pratica, obiettivo più raggiungibile rispetto alla prevenzione stessa). Tuttavia, poiché l’incidenza del tumore gastrico non è molto elevata (come, per esempio, per il tumore della mammella), per esso in Italia non esiste (e non è costo-efficace) un programma di screening su larga scala. La positività del test di ricerca del sangue occulto fecale, eseguita dopo i 50 anni per lo screening del tumore del colon, nel caso di colonscopia negativa, può aiutare a porre il sospetto di una neoplasia gastrica. In ogni caso, risulta determinante la figura del Medico Curante che non sottovaluti ogni sintomo di allarme, soprattutto se prolungato e non responsivo ad un primo trattamento con antiacidi. Senza dubbio, va ricordato altresì che diversi casi specifici meritano una sorveglianza endoscopica con tempi più ristretti, proprio per il rischio di trasformazione neoplastica: per esempio, gastrite
atrofica estesa, aree displasiche o metaplasiche (come per l’esofago di Barrett a livello della
giunzione esofago-gastrica) già individuate ad una endoscopia con biopsia precedente.
Mediante il Medico Curante, si accede ai servizi delle reti oncologiche regionali (laddove istituite e ben funzionanti) secondo percorsi diagnostici e terapeutici multidisciplinari ben definiti. Innanzitutto, va precisato che per una stessa diagnosi di carcinoma gastrico esistono quadri di estensione di malattia ben differenti, da cui dipende strettamente il trattamento. Pertanto, a prescindere dal primo specialista che si incontri diagnosi alla mano (più spesso oncologo medico o chirurgo), il paziente dovrà essere sottoposto ad esami di stadiazione per stimare proprio l’estensione del tumore (vedi sotto). Successivamente, il caso dovrà essere discusso collegialmente nel contesto di un team multidisciplinare costituito da più figure specialistiche (chirurgo, oncologo, radiologo, endoscopista, patologo, radioterapista, nutrizionista, genetista), che individuerà il percorso di trattamento “su misura” secondo le linee guida internazionali.
Per il trattamento di una patologia così complessa, che richiede sempre un approccio
multidisciplinare, è bene rivolgersi a centri ospedalieri di riferimento, che garantiscano la
collaborazione di tutte le figure specialistiche sopra citate con un adeguato volume di neoplasie
gastriche trattate per anno (almeno 20 casi secondo le stime più recenti).
– Tumore familiare/genetico. A chi mi rivolgo?
I centri in cui viene eseguita una consulenza genetica per il tumore dello stomaco ed eventualmente
il test dedicato alla sua diagnosi in Italia non sono molti. Tuttavia, laddove è presente un team
multidisciplinare per il trattamento del tumore dello stomaco, è possibile trovare le giuste
coordinate per lo screening familiare e l’eventuale strategia di sorveglianza o trattamento dei singoli casi.
Come sopra specificato, si ribadisce che è compito del team multidisciplinare identificare il
percorso di cura più appropriato per ciascun paziente affetto da cancro dello stomaco. Esso
dipenderà tanto dal grado di estensione e dalle caratteristiche del tumore, quanto dalle condizioni del paziente. Lo spettro di trattamento è molto ampio: varia dalla semplice resezione endoscopica per il tumore superficiale con rischio pressoché nullo di metastasi linfonodali, dalla chirurgia diretta nei casi di malattia confinata negli strati più della parete gastrica, alla chemioterapia preoperatoria (neoadiuvante; con lo scopo di ridurre la massa e favorire l’eradicazione delle micrometastasi non identificabili, nonché delle cellule neoplastiche in circolo) nel caso di tumori che si approfondano negli strati più esterni dell’organo o che presentino metastasi nei linfonodi vicini, fino alla sfortunata ipotesi della chemioterapia palliativa nei casi di malattia plurimetastatica. Si aggiunge altresì che la chirurgia, diretta o dopo chemioterapia, non di rado viene seguita dalla chemioterapia post-operatoria (adiuvante), dopo verifica istologica (sul pezzo operatorio asportato) di determinate caratteristiche tumorali che espongano al rischio di recidiva del tumore. Non è da escludere del tutto, infine, la possibilità di una chirurgia dopo una efficacissima chemioterapia somministrata inizialmente a scopo palliativo.
Nell’immediato postoperatorio, il paziente potrà avere un sondino-nasogastrico, uno o due drenaggi addominali, il catetere vescicale. Una volta eseguite le prove di buona tenuta dell’anastomosi (cucitura tra stomaco residuo o esofago ed intestino) e in assenza di complicanze, questi presidi verranno rimossi. L’alimentazione sarà ripresa gradualmente, prima con dieta idrica, poi con cibi solidi in pasti frazionati. In un decorso regolare, la dimissione spesso rientra tra i 7 ed i 10 giorni. La necessità di alimentarsi “poco e spesso” potrebbe accompagnare il paziente per il resto della vita, non avendo più un “serbatoio” abbastanza grande da consentire pasti copiosi come prima dell’intervento. L’adeguarsi alla nuova situazione anatomica varia ampiamente tra paziente e paziente, sia nei tempi che nei modi (vedi sotto).
La fascia elastica addominale è fortemente consigliata dopo interventi laparotomici perché aiuta la ferita interna a consolidarsi e sostiene i muscoli addominali durante i movimenti, anche banali, come alzarsi dal letto. Infatti, nelle settimane che seguono l’intervento i carichi sulla parete addominale possono determinarne piccole lacerazioni in grado di generare ernie addominali (laparoceli). Il rischio è tanto più alto, quanto più è sovrappeso il paziente e quanto più è stata complessa la guarigione della ferita. Il presidio contenitivo della fascia elastica viene generalmente consigliato per 1-2 mesi, proprio in base anche alle caratteristiche fisiche e alle comorbilità del paziente.
L’esame istologico definitivo, eseguito sul pezzo operatorio (ovvero stomaco e linfonodi asportati) deve riportare le reali dimensioni del tumore, la sua estensione all’interno degli strati della parete gastrica (o lo sconfinamento della stessa), il tipo di cellule tumorali che lo costituiscono, altre specifiche caratteristiche di “aggressività” di queste cellule, la presenza o meno di metastasi nei linfonodi asportati (debitamente contati), nonché, dopo esami più sofisticati, i recettori che le cellule tumorali esprimono (eventuali bersaglio di determinati farmaci anti-tumorali). In termini semplici, rispetto all’esame istologico su biopsia eseguito per la diagnosi che fornisce semplici informazioni su “nome e cognome” del tumore, l’esame istologico definitivo deve garantire numerose altre informazioni (“data di nascita, residenza, codice fiscale”) utili per caratterizzare il tumore, prevederne il comportamento nel tempo e, quindi, valutare la necessità di eventuali ulteriori trattamenti.
Come generalmente suggerito dal nutrizionista in fase di predimissione, la maggior parte dei
pazienti dovrà attenersi ad un’alimentazione con pasti piccoli e frazionati, ovvero 5-7 pasti durante il giorno, con porzioni ridotte di circa la metà di quanto abitualmente assunto prima dell’operazione.
Dato che il fabbisogno calorico non deve cambiare, soprattutto durante la fase di dispendio
energetico del post-operatorio, il paziente deve essere attento ad introdurre una sufficiente quantità di cibo durante la giornata.
Può rendersi necessario durante il pasto lasciar passare una decina di minuti tra primo e secondo piatto. Masticare lentamente e a lungo può favorire la successiva digestione, così come evitare di bere durante il pasto.
Alcuni cibi, soprattutto quelli più zuccherini, potrebbero cambiare in termini di sapore e, quindi, venir meno apprezzati o tollerati dal paziente. Si consiglia, pertanto, di ridurre il carico di zucchero ai pasti (anche per evitare spiacevoli disturbi correlati alla sindrome dumping , vedi sotto) e di individuare di volta in volta i cibi meno graditi.
Anche l’acqua può “dar fastidio” ed indurre una “sensazione di peso”, facendo preferire, bevande con un sapore gradevole, come tisane o succhi di frutta diluiti allo scopo di un’adeguata idratazione.
Può essere necessario dopo i pasti fare “un riposino” in posizione seduta, così da favorire il transito e la digestione dei cibi.
Spesso, si rende necessario assumere un apporto farmacologico di ferro e folati ed altri vitamine ed oligoelementi, essendo questi meno (o non) assorbiti dopo l’intervento. Menzione a parte è necessaria per la vitamina B12, il cui assorbimento è strettamente dipendente dallo stomaco e, venendo a mancare questo, va apportata per via farmacologica.
Come sopra accennato, non tutti i pazienti reagiscono allo stesso modo, quindi gradualmente
ognuno imparerà a capire cosa e quanto tollera.
Il calo ponderale post-operatorio è fisiologico. È necessario, tuttavia, monitorare il peso
settimanalmente e verificarne a circa 4 settimane dall’intervento una sua progressiva stabilità, se non (sperabilmente) una sua ripresa.
Qualche episodio di vomito o diarrea, così come l’eruttazione frequente, non devono allarmare subito il paziente. Si tratta solo di riconoscere quali cibi o comportamenti hanno scatenato queste reazioni.
In ogni caso, se dopo un mese circa dalla procedura chirurgica il peso non ha trovato stabilità o il paziente fa ancora fatica a trovare piacere nell’alimentazione, è buona norma riferirsi allo
specialista della nutrizione del centro di cura.