La storia di Claudia

La mia storia, come tutte le nostre, è “singolare”.. Da sempre sono stata definita “salutista”, a volte con tenera ironia… a volte con feroce ironia. Nell’aprile 2008, ho vissuto un periodo lavorativo stressante, e dopo un anno in cui andavo spessissimo dal mio medico di famiglia a lamentare una serie di fastidi di natura gastrointestinale, finalmente mi viene prescritta una ecografia dalla quale emerge un linfonodo sotto lo stomaco di 2,7 cm…. Mi vien detto  che è normale…che i linfonodi servono a quello in caso di infiammazione… e mi viene toccata la gola come esempio.  Da allora fatico a farmi anche solo sfiorare in quella posizione… Non mi sento tranquilla e interpellato un gastroenterologo mi  consiglia di fare una gastro e di eradicare l’helicobacter che avevo in comodato d’uso da circa 3 anni. Faccio la gastro e…. si trova un  adenocarcinoma rimosso con gastrectomia totale e 4 + 2 (?) linfonodi pieni di tumore. Il bravissimo oncologo che mi segue,  prima di iniziare la chemio, mi prescrive una pet… che evidenzia ulteriori 2 linfonodi…. che fortunatamente,  alla fine del durissimo ciclo di chemio non erano più presenti. Il mio istologico era un PT1N1 G3 (con la vecchia classificazione). Inizia, da allora, il processo di consapevolezza della mia malattia, di quanto mi era successo: un periodo pieno di dolore, paura, senso di impotenza e solitudine nonostante avessi i familiari e gli amici vicini. Immagino non ci sia bisogno di spiegare la necessità di dare un senso al quotidiano dolore, alla quotidiana paura e alla quotidiana fatica di quei giorni. Impellente il bisogno di condividere questo “viaggio” con altri viaggiatori simili a me. Non per escludere! Il primo pensiero, non trovando nulla legato alla mia patologia, ma tanto su altri tipi di tumore, è stato quello di dire: non si sopravvive a lungo…. Poi ho pensato che le cause potevano essere anche legate ad altre ragioni: una percentuale inferiore di ammalati, un riserbo maggiore nel rendere pubblica una malattia che rende difficoltosa la vita di relazione, la vergogna di dichiararsi malati…. il nostro è un mondo che premia la prestanza fisica e non perdona la malattia! Le relazioni tra persone si cementano anche attraverso il cibo, che unisce, che  aggrega, che è piacere condiviso e non sinonimo di dolore come invece succede a ME. Mangio, ancora oggi,  cibo a volte insapore, cerco, con qualche fatica, di mangiarne tanto, proprio per  paura di dimagrire ancora… Sì, perché non mi sono ancora liberata del dogma magrezza= malattia=vergogna. Quando ho scoperto di avere un tumore allo stomaco, nelle infernali prime ore, consultando un caro amico di famiglia, medico, mi sono sentita suggerire: Claudia, non dirlo, la gente ti vivrà come “cipressata”. Sì, usò proprio questo termine. Non nego, nel tempo di aver pensato, ma solo qualche volta, che avrei fatto bene a seguire quel suggerimento, soprattutto quando mi sono resa conto che anche gli amici più cari dopo una malattia del genere, modificano il tuo nome usando un diminutivo, togliendoti l’interezza che avevi “prima”. Il TEMPO che IO ho inizialmente vissuto era profumato di paura: paura a lasciarsi andare alla vita,  un eterno limbo in attesa del prossimo controllo. Una vita sospesa tra un controllo e l’altro. E ciò non deve essere. Generalmente i sani, vicini alla persona malata, cercano di minimizzare la malattia ottenendo purtroppo, in noi, l’intensificarsi della rabbia, del dolore, dell’impotenza. Poi in internet ho trovato il gruppo Cancro allo stomaco: Vivere senza stomaco si può e NEL GRUPPO, composto appunto di persone che come me hanno vissuto questa amputazione e  che,  come me, forse,  cercano risposte e che, come me, sono disposte a rendersi “parte di un insieme” per noi stessi e per gli altri. Persone che stanno riassaporando la VITA, consapevoli di avere avuto in dono un’altra opportunità. E pian piano ho ricominciato a portare lo sguardo oltre la singola giornata… Ho aperto il blog  TIMENNBLOG e ho probabilmente iniziato a metabolizzare la malattia  Forse, se il gruppo fosse esistito già dall’insorgere della mia malattia, non sarebbe successo quanto invece mi è capitato nei mesi successivi all’intervento. Faticavo infatti moltissimo a mangiare e spesso vomitavo in presenza di  dolori simili a coliche. In diverse occasioni, a chi mi capitava “ a tiro” riferivo di questi dolori e tutti mi rispondevano che dovevo semplicemente sforzarmi…. Dopo 2 anni dall’intervento finalmente  entro in contatto con il mio angelo custode, un bravissimo gastroenterologo che comprende il problema e inzia a farmi fare  dilatazioni… da allora ne ho fatte 9. Purtroppo all’ultima mi hanno detto che la mia anastomosi era troppo rigida e non si poteva più fare nulla: ho un lume di 1 cm… Sissssi, 1 cm. Le dilatazioni infatti hanno significato solo se eseguite nel primo anno di “vita nuova” e all’epoca a nessuno è venuto in mente di propormelo. Ora, a distanza di 13 anni e mezzo,  mi ritrovo ad alimentarmi sempre con fatica e con dieta semiliquida. Quindi, quando qualche compagno di sventura dice che fatica a mangiare,  il mio consiglio è certamente quello di sforzarsi perché è vero che è una ginnastica che il corpo deve fare ma se permangono i disturbi… beh si deve andare a valutare il lume. A questo serve il confronto.. a mettere a disposizione la propria esperienza. Da qui l’idea di divenire, da gruppo,  Associazione, per essere davvero di supporto a chi, vive questa normale diversità. Associazione che quando finalmente siamo riusciti a costituire… nonostante qualche idea contraria, ha dato un senso a quanto mi è successo. A quanto succede ai gastroresecati. Con fatica ma anche con gioia, insieme possiamo portare i sanitari a riflettere sul vuoto che ci accoglie dopo ‘intervento, insieme possiamo portare a riflettere, a chi di competenza,  sui problemi lavorativi legati ai mille danni metabolici che ci accompagnano, insieme possiamo portare a fare riflettere le commissioni INPS sul nostro reale stato di gravità. Insieme, come Associazione portiamo quindi “all’esterno” i problemi che emergono nel gruppo FB che diversamente rimarrebbero “semplice” manifestazione di disagio. Intersecando quindi il cuore pulsante del gruppo/forum di FB con la ricerca di una soluzione che l’Associazione cerca di dare a questi problemi, davvero ho dato un senso all’essermi ammalata. E qui in effetti è avvenuto il grande cambiamento: inizialmente mi chiedevo del perché una malattia simile fosse capitata proprio a me. Ora mi chiedo perchè, nonostante la malattia io sia ancora qui. E la risposta a questa opportunità è solo una: rendersi utili agli altri.