“Il mio papà si chiama Mario”. Credo che tutti noi almeno una volta alle elementari abbiamo scritto questo semplice “pensierino” che però trattiene tutto l’amore che una figlia ha per il proprio padre, il suo Principe Azzurro che nulla può scalfire. Ecco, il mio papà si chiama Mario, il prossimo 27 giugno compirà 88 anni e lo scorso 8 febbraio i miei genitori hanno potuto festeggiare il loro sessantaseiesimo anniversario di matrimonio. Non era una cosa così scontata perché mio padre nel luglio del 1990 a 54 anni è stato gastroresecato. Ormai 34 anni fa. Questa la diagnosi “adenoca con cellule ad anello con castone, i linfonodi asportati sono risultati esenti fa infiltrazioni”. Fu operato all’ospedale Padova dal prof. Nitti, l’intervento ebbe successo ma le complicazioni post operatorie furono moltissime: versamento pleurico, ascesso subfrenico, appendicite acuta, infezione della ferita laparotomica drenata chirurgicamente… tanto che rimase ricoverato per due mesi, ne uscì finalmente in settembre. Immaginate in che condizioni. Quando gli chiedono come se ne è accorto della bestia che arrivava risponde “per caso”.
Nel periodo precedente alla scoperta del cancro stava bene, in tutti i sensi, si era addirittura un po’ ingrassato, non aveva nausea, non vomitava insomma niente che potesse presagire se non uno strano disturbo: quando mangiava pane, mela o beveva un po’ di vino sentiva un leggero bruciore all’esofago quando il bolo passava. La bestia stava progredendo verso l’esofago. Così il nostro medico per scrupolo gli prescrisse una gastroscopia per accertare che non avesse una gastrite. E da lì iniziò la nuova vita sua e nostra.
I primi tempi non furono facili per vari motivi. Conoscendo mio padre, d’accordo con i medici, non gli abbiamo detto la vera natura dell’intervento se non dieci anni dopo ma credo che in cuor suo l’avesse sempre saputo ma che, per una forma di autodifesa, preferiva non sapere perché, per chi si ammala di cancro allo stomaco, e più di trent’anni fa peggio di oggi, c’era la convinzione che non si poteva sopravvivere ma invece SENZA STOMACO SI PUÒ.
Quando lo dimisero io e mia mamma non sapevamo bene come gestire la cosa, io studiavo ancora all’università e devo dire che mia mamma da donna forte qual è ha fatto del suo meglio ma non avere nessuno con cui confrontarsi, con cui parlare, con cui sperare non è stato semplice. L’unico riferimento era il medico di famiglia, non poco, ma non abbastanza come supporto psicologico. Perché chi si trova in questa situazione ha bisogno di sapere che non si è soli ma all’epoca internet non esisteva e il contatto con altri pazienti oncologici trattati come lui era impossibile.
Nonostante le difficoltà, i piccoli pasti, i controlli periodici, il cibo che a volte ancora oggi non va giù, la paura costante che tutto possa ricominciare, mio papà ha avuto da questo punto di vista una buona qualità di vita. E’ stato colpito però da moltissime altre patologie molto gravi, setticemia a causa di un calcolo renale, un infarto, bronchiectasie, carcinomi alla vescica, ringraziando Dio sempre diagnosticati in tempo, Covid contratto nel reparto di geriatria, reparto che è stato ovviamente chiuso, con conseguenti tre mesi di ricovero, clebsiella pneumoniae e tanto altro… ma è ancora qui e vorrei proprio che la sua storia potesse essere di aiuto a chi oggi sta affrontando la malattia.