
Natale 2013:
Fondacà, dobbiamo tagliare. E intanto che parlava mi faceva, dall’altra stanza, il segno delle forbici, con le dita. E io, di rimbalzo, cercando di farmi sentire: “una parte?” no, tutto, mi fa il dottore, dopo aver indagato per bene l’esito della gastroscopia………. Stavo per “giocarmi” lo stomaco. Peccato, mi ci ero affezionato, dopo tanti anni e tante abbuffate fatte insieme.
Cinque anni già da quando esordì, sornione, “l’amico non invitato” nè mai scacciato in malo modo…. il cancro. Che fare? La morte, la fine della vita, insidiosa, faceva capolino nella mia vita. Una vita tranquilla, ma neanche tanto monotona, che mi aveva messo in guardia più volte e con buona dose di verità, spesso anche tra il serio e il faceto. Io, inquieto per nascita e fatalista per scelta, ho optato per il distacco dalla realtà, e ho fatto finta che non fossi io il “prescelto”. Ho pensato che affrontare l’ospite con sgarbo sarebbe stato sgradevole e poco incline al senso di responsabilità che mi è proprio. Ma forse l’avrei anche fatto fesso, facendo finta di non aver timore della sua forza, e ho creato così una sorta di tregua: “intanto che sveliamo il finale, siamo tranquilli entrambi”, gli ho detto. Ho preso tempo, ho continuato a fare il duro, ho sopportato il dolore e ho sorriso, sorriso tanto.
Nessuno di noi può permettersi il lusso di guardare in faccia la morte, senza riverenza e neanche subalternità. Lei è, in quei momenti, padrona dei nostri sentimenti. Lei parte in vantaggio, avvolge i nostri cari con pensieri biechi, bui. Lei può attendere, lei sa attendere, è quello il suo lavoro. Meglio trattarla bene, con dolcezza……
……Sono sveglio, cavolo. Sono in camera, al reparto…..Uno a zero, no?….. Il dottore mi ha detto che ho dovuto lasciare anche la milza, una ghiandola surrenale, ventotto linfonodi e un piccolo pezzetto di pancreas. “E’ il protocollo, Fondacà”. Però, non va più male di quanto temessi, a parte, mi hanno comunicato, undici giorni senza mangiare e senza, dico senza, un goccio d’acqua da bere. Lei le pensa tutte, ma, per adesso, sempre uno a zero. Gli occhi, i miei occhi, giravano in tondo nella stanza, soffermandosi per un pò su ognuno di chi, in semicerchio, era parte di quel capannello di sguardi che formavano la mia commissione d’esame. Quante domande, nel più “religioso” silenzio, mi rimbalzavano addosso, in attesa delle risposte ai vari quesiti. Ho tentato di rilanciare, di bluffare, di sembrare addirittura sereno. Non saprò mai se quella mano l’ho vinta io. Forse erano tutti esperti giocatori di poker. Certamente sono stati bravi ad assecondarmi, e a far finta che quell’apparato da santo in processione, che circondava me e il mio letto, non esistesse.
Devo confessare una cosa, una cosa di cui non ho mai parlato a nessuno, prima d’ora. Io non posso lamentarmi troppo per la situazione in cui mi trovo. Trent’anni fa, trent’anni fa esatti, ho chiesto aiuto alla Sorte. So che non si può, so che non esiste questa possibilità nella vita, nè io ci ho mai creduto veramente. Ma, sai, quando non vedi vie di uscita ti aggrappi anche alle ragnatele, pur di venirne fuori. Allora le ho parlato, alla Sorte, e le ho detto: “Ascolta”, mentre guardavo un anziano zoppo e malandato, che ritenevo più felice di me, o almeno lo pensavo, “se ti riesce, regalami pure una vita come la sua, se ciò può donare qualche attimo di serenità a questa testa, che ben poca ne ha conosciuta . Ridammi il mio cervello, riporta i miei pensieri al loro posto, ti prego”……
…..la depressione. Non puoi immaginare com’è avere gli occhi sbarrati. Sembra che guardino avanti ma non guardano niente. Non guardano, vedono, vedono ciò che c’è avanti ma senza avere pensieri, senza programmi, senza progetti. Il nulla, il nulla che riempie la testa di nulla, e le lacrime che non sai fermare. Aspettando la notte, il buio che si porta via suoni e rumori, le voci di persone e il rumore della pioggia, e il calore del sole. Sono fredde, quelle lacrime, fredde come la vita che ti scorre davanti e tu le ritrovi, di nuovo, al mattino. Le emozioni sono lontane, hanno affidato a una finestra i loro occhi, fermi, in attesa di riprendere il coraggio di guardare ancora l’orizzonte. Di scendere da quel treno che non ferma in alcuna stazione, e nessuna stazione ha un nome. Sei assente. Un assente che attende solo che tutto finisca. In qualsiasi modo, basta che finisca questo dolore, che non ha spiegazioni. E’ sempre il nulla…. ……..Allora regalatemi un dolore, un dolore che abbia un senso, che io possa capire, giustificare, senza il terrore, la paura, il vuoto.
Ecco, io lo stomaco so di averlo lasciato là, là in quell’ospedale, al mio amico medico, Carmine Napolitano, grande capo. So che dovrò privarmi di altro, per sempre, ma lo so. La mia testa lo sa, i miei pensieri sono ancora miei. Essi potranno decidere, se vogliono, di andare avanti, anche senza bere acqua, sperando di domare le sofferenze che mi procura, ormai, quel veleno che ha attraversato il mio corpo, le mie vene. La chemioterapia. Che continuerà a farla da padrona. Mi farà sbandare per strada, mi addormenterà quando lo vorrà, gestirà i miei dolori, si approprierà del mio cibo. Forse continuerà, per sempre, a essere la mia ombra. Ma adesso io conosco il mio percorso, so quanto possa essere io e quanto dovrò essere altro. Ma voglio essere, assolutamente essere. Voglio che niente mai possa proibirmi di guardare negli occhi le persone a cui voglio bene, e sapere che gli voglio bene. Voglio poter gioire al pensiero di essere tra i loro pensieri. Io, ho chiesto tutto ciò, io ho chiesto alla vita questo, per me. Ed è per ciò che sono sceso a patti con il mio ospite. E, forse, lui ha compreso che il mio gioco non è da bari, non ho imbrogliato. Ho scelto un altro dolore, ho fatto un patto……..
…………….Fondacà, dobbiamo tagliare, mi disse il dottore. Dopo ci sarà una nuova vita, dimenticherai tutto…… Dimenticare? Perché mai? Io non intendo rinunciare a nulla di ciò che è stato un percorso, un intreccio di strade, una somma di sentimenti, forti e meno forti, ma miei. Se oggi sono qui, con voi, a chiacchierare con tranquillità anche di pezzi della mia storia non sempre piacevoli, lo devo all’accettazione del passato e alla voglia di vivere un futuro che mi fa meno paura, sicuramente.
Ho mantenuto un buon rapporto con la Sorte. Non le chiederò favori, non tenterò di evitare la Fila. Attenderò di attraversare questa ridente cittadina, tra il profumo dell’aria e l’odore del mare, con calma e consapevolezza, senza rifuggire dai ricordi e dal segno degli anni. La Vita è ciò. Ma non sopporto che ci sia l’oblio, dove ha già regnato l’oscurità. Voglio vivere a lungo, e non dimenticare mai. L’onta più oltraggiosa, per me, sarebbe non riuscire a sorridere ancora tra i ricordi e l’amore senza comprendere, senza godere di essi. Ma se la Sorte non potesse, allora io……
…….alla mia piccola affiderò una leggera rubrica rossa, dove su ogni pagina io ci scriverò:
“RICORDAMI CHE TI VOGLIO BENE”.