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Storia di Luca,
che si prende cura di
Nunzia e guarda lontano

Luca, che per mestiere incastona pietre preziose negli ori di Bulgari, Pierre Cardin e così via, possiede una manualità raffinata, da artista. Deve avere ereditato qualcosa dal prozio, famoso pittore italiano appartenente alle correnti del futurismo e della pittura metafisica.

Luca, che per mestiere incastona pietre preziose negli ori di Bulgari, Pierre Cardin e così via, possiede una manualità raffinata, da artista. Deve avere ereditato qualcosa dal prozio, famoso pittore italiano appartenente alle correnti del futurismo e della pittura metafisica. Forse, da quel personaggio, ha preso anche lo sguardo indagatore, curioso, sempre in movimento.
È uno sguardo che punta volentieri verso le stelle. Luca appoggia l’occhio al telescopio che ha montato sul terrazzino, e da lì scruta il dipinto del cielo, senza smettere mai di emozionarsi. È un bel dipinto, quello che la volta celeste offre tutte le sere dell’anno. Sempre diverso, sempre entusiasmante. Nel tondo della lente, il moto delle sfere ti fa sentire piccolo, ma anche importante.
Cosa sarebbe tutta quella bellezza, senza nessuno a osservarla? Laggiù tramonta la costellazione del Sagittario, più in qua Giove compie la sua ellissi mentre Saturno passa nel Carro, e a circa 640 anni luce di distanza splende senza fine la fiamma di Betelgeuse.
Una volta, a una conferenza di appassionati, Luca ha avuto l’onore di presentare Margherita Hack (1922-2013), che è stata la più famosa astrofisica italiana.

 

Ma bisogna fare attenzione.

Se hai uno sguardo lungimirante, possono accadere le cose più strane. Può accadere, per esempio, che dal Piemonte, terra nella quale Luca vive e lavora, e più precisamente dalle sue lande nei dintorni di Alessandria, che furono di orafi sopraffini e nelle quali Luca esercita, per una azienda di “incassatura”, tutte le sue capacità artigianali… può accadere che da quelle lande gli occhi si spingano molto lontano e incrocino altri occhi, occhi cerulei tendenti all’azzurro, luminosi e decisi, gli occhi di una donna che vive in Calabria. E così poi va a finire che quell’incrocio di sguardi, a dispetto di qualsiasi distanza, diventi definitivo. Luca ha incontrato Nunzia che erano tutti e due sulla cinquantina. Era il 2010. Da allora, non se ne è più staccato.
Per ragioni organizzative, di lavoro, e di figli avuti da relazioni precedenti, lui è rimasto nel suo Piemonte, lei nella sua Calabria. Ma non hanno mai smesso di considerarsi una coppia. Una cosa sanno l’uno dell’altra: vogliono stare insieme. Ma come si riesce a gestire un ménage a mille chilometri di distanza? È semplice: amandosi. Vedendosi appena possibile. D’estate, a Natale, a Pasqua, nei weekend, prenotando per tempo i voli. E poi ascoltandosi, tanto. Tutti i giorni. Chissà, forse è la prova del nove: se al telefono ci stai ore e non sei mai stufo, allora non può essere solo una cotta, è qualcosa di serio, qualcosa di vero e concreto.

 

Nunzia e Luca

progettano di ritrovarsi a vivere sotto lo stesso tetto, presumibilmente in Calabria, appena si potrà, appena il lavoro lo concederà. Alla pensione ormai non manca tanto. E i figli si sono fatti grandi. Si sono fatti grandi e fanno il tifo per loro. Vedono di buon occhio quella unione. Luca era rimasto vedovo qualche tempo prima di incontrare Nunzia. Mai avrebbe immaginato di ritrovare un amore così forte, così coinvolgente, così vivo. Suo figlio, che è cresciuto con lui, come potrebbe non desiderare la felicità del padre? Nunzia, a sua volta, prima di incontrare Luca era rimasta sola, con tre figli da crescere. Anche i suoi ragazzi oramai sono grandi e vedono di buon occhio l’unione della madre con quell’uomo che abita al nord, che guarda le stelle, che incastona pietre preziose, e che mangia cose strane, tipo la bagna caôda.
È proprio una bella favola, c’è poco da dire. Solo che, come in ogni favola che si rispetti, c’è un antagonista. Qualcuno, o qualcosa, ha deciso di mettere i bastoni fra le ruote. Qualcuno, o qualcosa, si oppone alla felicità dei protagonisti. E non è Barbablù. E non è nemmeno la Strega Cattiva. È un carcinoma gastrico, bestia ben peggiore. Nunzia sa di provenire da una famiglia che è già stata attaccata, in alcuni componenti, da questa malattia. Sa che i fattori ereditari ci sono e sono influenti. Lo dice a Luca. Gli spiega che potrebbe ammalarsi anche lei.
È una questione genetica, non ci si può fare niente. È per questo che ogni sei mesi fa una biopsia allo stomaco. Finché un giorno, mentre sono al mare tutti e due, in Calabria, arriva una telefonata dal Centro Tumori di Milano, dove Nunzia, accompagnata da Luca, ha fatto le ultime analisi. Potreste venire su per delle comunicazioni urgenti? Luca e Nunzia partono nel giro di pochissimo tempo. Immaginano già cosa li aspetta.

 

A Luca non piace la parola caregiver.

Non ama, in genere, le parole inglesi affioranti come boe in mezzo al mare della lingua italiana. Pensa, a ragione, che l’italiano sia bellissimo e autosufficiente, e che se qualche volta è necessario implementarne l’espressività con parole prelevate da idiomi stranieri, è solo in quei casi specifici dove manchi il termine equivalente, come sosteneva già Leopardi nello Zibaldone.
Allora, in ossequio a questa sensibilità, lo diciamo nel modo più italiano possibile: la storia di Luca è la storia di uno che “si prende cura”. Tutti i caregiver, alla fine, non sono che questo: persone che si prendono cura di altre persone. E prendersi cura è una bella definizione di cosa significhi amare. Anche da lontano. E senza preoccuparsi troppo di sé stessi. Gettando il cuore oltre l’ostacolo, come si dice. Perché Luca soffre da anni di spondilite anchilosante. Una malattia infiammatoria, di tipo reumatologico e progressivo, che colpisce le articolazioni della colonna vertebrale, rendendola meno mobile e flessibile e creando difficoltà, nei movimenti, che possono anche essere notevoli, a seconda del grado di sviluppo della malattia.
Ma tutto questo, per lui, non ha avuto alcuna importanza. Nunzia rischiava. Nunzia stava male. Nunzia doveva essere operata. E lui doveva starle vicino. Per come poteva. Era il 2020. Settembre. L’Italia era sprofondata nel Covid-19. Come uno stivale nella melma, verrebbe da dire. Ospedali pieni, e la Sanità Lombarda, negli anni precedenti eccellenza a livello europeo, ora in tilt.
Il Centro Tumori di Milano, tuttavia, continuava a lavorare a pieno regime. Non c’è pandemia che possa permettere di abbassare la guardia, quando si tratta di malattie oncologiche. E con Nunzia non si poteva abbassare la guardia. Si doveva agire, subito. Luca faceva la spola, tra le sue lande piemontesi e Milano. Portava a Nunzia il cambio della biancheria. La salutava da lontano, con la mascherina sul viso, perché c’erano le restrizioni. Fortunatamente. Ve lo immaginate attaccare il Covid a un paziente appena operato di cancro allo stomaco? L’operazione era andata bene. Asportato il tumore per intero, insieme allo stomaco, il chirurgo, molto esperto, era riuscito a creare una piccola ansa, tra esofago e intestino.
Uno spazio che avrebbe fatto, per quanto si può e con tutti i limiti del caso, da minuscolo stomaco di riserva. Può sembrare poco. Ma la qualità della vita cambia, se si ha almeno uno spazio, per quanto piccolo, dove andare a far finire il cibo.

 

Luca ammira e un po’ invidia

chi ha una fede solida, granitica, impossibile da scalfire. Il suo amico Roberto, medico di famiglia, è così. Crede. Crede fortemente ed è per questo motivo che non si risparmia. La fede è il motore che lo spinge a fare tutto il possibile perché gli altri stiano bene, e perché abbiano una vita dignitosa, anche nella malattia. Quando, a dieci giorni dall’operazione, Nunzia è stata dimessa, Luca l’ha portata a casa sua, nell’alessandrino, dove l’ha riverita e coccolata per più di un mese. Quasi ogni sera, l’amico Roberto passava a vedere come stava. Controllava la ferita, cambiava le medicazioni se necessario. Dava indicazioni su questo o quello specialista da andare a consultare. Cercava di infondere fiducia. Dal punto di vista del decorso clinico, le cose andavano bene. L’operazione era perfettamente riuscita e non c’era da aspettare altro che la paziente si rimettesse in forze.
Ma non esiste solo la fisiologia. Esiste anche la psicologia. E dal punto di vista di quello che potremmo chiamare “decorso psicologico”, le cose non andavano altrettanto bene. Nunzia si sentiva menomata. Una persona a metà. È strano come lavora la mente. Perché la menomazione c’era, è indubbio, ma non era visibile. Eppure, per Nunzia, come probabilmente per tutti quelli che hanno subito lo stesso tipo di intervento, il sentimento prevalente, la sensazione dominante, si riassumevano in questa frase: “Mi manca un pezzo di me”.

 

Ok, ti manca un pezzo.

Va bene. Ma non è finita. E per me sei sempre tu. Sei la donna con cui voglio passare il resto della mia vita. Io non ti abbandono”. Luca parla così a Nunzia. Le dice queste e altre cose. Non sono giorni facili, però, quelli della convivenza dopo l’operazione. Nunzia è giù di morale. È dimagrita tanto. Sembra non importarle più di nulla, a parte i figli.
Non riesce a mangiare e rischia di deperire ulteriormente. Luca frulla tutto. Ma i sapori sono quello che sono. Non c’è niente di buono. Nulla che vada bene. Allora prova con gli omogeneizzati. Per una persona adulta, nutrirsi di omogeneizzati non è il massimo. Almeno sono ricchi di proteine, le dice Luca, cercando di convincerla.
Roberto passa una sera e, rendendosi conto che così non può andare avanti, indica un nutrizionista di cui ha sentito parlare molto bene. Proprio qualche giorno prima aveva chiesto a dei colleghi il nome di uno specialista che avesse già affrontato casi di persone senza stomaco. Ora l’aveva trovato. Nunzia e Luca ci vanno insieme. Piano piano, esaminato per bene il caso, viene proposta una dieta che gradualmente potrà riportare Nunzia a mangiare qualcosa di solido. Agli integratori vitaminici e proteici, il nutrizionista ha affiancato quantità minime di cibo. Da ingerire molto lentamente. Quattro maccheroni, un’ala di pollo; quanto basta per riassaporare qualche gusto e per rendersi conto che, anche se manca un pezzo, la vita va avanti, e che anche in certe condizioni è bello continuare a vivere.

 

Luca ci tiene a dire che lui non è un supereroe.

Quando ha saputo che Nunzia aveva un tumore gastrico, ha avuto paura. Nonostante questo, non si è tirato indietro. Ha deciso di rimanere. Le è stato vicino in modo discreto e concreto, ogni minuto di ogni giornata. Ora le cose vanno bene. Nunzia si è rimessa e i controlli che fa ogni sei mesi danno risultati buoni. Il pericolo è passato. Presto vivranno insieme, appena il lavoro lo concederà.
No, Luca non è un supereroe. Ama piuttosto definirsi un rompiscatole. Ogni giorno la chiama e le chiede se ha mangiato e quanto ha mangiato. E se lei non è in giornata e non vuole starlo a sentire, allora parla con uno dei suoi figli, si confronta, discute con lui il da farsi e cerca di starle vicino così, tenendosi sempre informato e dando, se è il caso, istruzioni.
Quasi sempre invita Nunzia a camminare almeno per venti minuti, perché è importante mantenere il tono muscolare. Ogni volta, quando si vedono, la porta in qualche posto bello. Perché quando sei davanti a qualcosa di bello, il morale sale, la voglia di vivere aumenta, e anche quello che ti affligge, ti affligge un po’ meno.
Passare una buona giornata, una alla volta. È tutto quello che conta. Fa tornare la voglia di vivere e la voglia di vivere è sempre la medicina migliore. A questo proposito Luca ricorda che sua nonna, nata nel 1896, si era dovuta sottoporre a tanti interventi per diversi tumori che l’avevano colpita, e che, nonostante questo, era passata a miglior vita alla fantasmagorica età di 112 anni! La sua voglia di vivere era stata più forte di tutto. Mai, mai lasciarsi sopraffare. Il desiderio di vivere conta più di ogni altra cosa.

Luca dice che lui sta bene quando sta bene Nunzia.

E che si è iscritto all’associazione “Vivere senza stomaco si può” perché gli piacerebbe poter dire anche solo una parola che sia di aiuto a qualcun altro. Non ha grandi pretese, da questo punto di vista. Non pensa di avere nulla da insegnare a nessuno e nemmeno che potrà aiutare chissà quante persone. Ma se anche una sola persona si sarà sentita aiutata da una sua parola, allora avrà fatto qualcosa di grande. Grande almeno quanto la volta celeste che osserva con il suo telescopio quasi tutte le sere.